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Il fenomeno dell’onda si verifica prevalentemente in inverno, quando sussiste un vento molto teso e una atmosfera molto stabile. Elemento essenziale per la formazione dell’onda è una serie di catene montuose disposte in modo parallelo (ad esempio le Alpi). Più è alta la catena montuosa, maggior quota raggiunge l’onda.
L’onda trae il proprio nome da un flusso d’aria che si manifesta quando viene spinto verso dalle catene montuose le quali innescano questo movimento ondulatorio che progressivamente aumenta di intensità. Per sfruttare l’ascensione ci si porta con l’aliante nel settore ovviamente ascensionale.
La presenza dell’onda è identificata da una nube caratteristica e molto particolare detta nube lenticolare. Essa assomiglia ad un disco volante, ed è costituita essenzialmente da aghi di ghiaccio. Si forma ad alta quota e rappresenta la parte visibile dell’onda (o apice dell’onda) in cui l’umidità dell’aria si congela, diventando quindi visibile, per poi ridiscendere e scomparire. La nube lenticolare è quindi immobile nel cielo, ma è costituita da un flusso in continuo movimento.
Data l’alta quota e l’assenza di asperità del suolo che creano turbolenza lo scorrimento dell’aria è perfettamente liscio e uniforme. Tale fasci di aria che scorrono lisci uno sopra l’altro sono detti “laminare”. Per questo la forma della nube lenticolare è così distesa e “pettinata”, poiché lo scorrimento dell’aria è uniforme e privo di turbolenza.
L’onda non scorre mai al livello del suolo, ma si trova sempre ben più alta delle creste montuose. Nella valle, tra una catena montuosa e l’altra persiste invece grande turbolenza, causata proprio dall’attrito del vento con il suolo. Dai rilevi si staccano poi delle nuvole tipiche detti “rotori” in quanto rotolano su se stesse danno un’idea tangibile della grande turbolenza
Come due UFO, le nuvole lenticolari sovrastano a grande altezza una catena montuosa.
In basso sulla destra è visibile il pennacchio di una nube rotore che scorre via rotolando trascinata dai venti
Schema che esemplifica il meccanismo dell’onda: in alto, al di sopra della catena montuosa il flusso d’aria è perfettamente liscio (laminare) con dolci salite e dolci discese. La zona di ascendenza è marcata dalle nubi lenticolari. In valle, dietro alle montagne persiste una grande turbolenza che è generata dalla catena montuosa stessa ove soffiano via a grande velocità le nubi rotore.
Come si “aggancia l’onda”?
Per prima cosa occorre un abbigliamento e un equipaggiamento assolutamente idoneo. Dato che spesso questo tipo di volo si manifesta in inverno e la quota che si può raggiungere è molto elevata, le temperature che si incontreranno nel volo in quota possono essere di decine di gradi sotto lo zero, senza contare la penuria di ossigeno.
Occorre quindi dotarsi di un abbigliamento tecnico molto pesante e di una bombola contenente ossigeno aeronautico ovviamente munita di apposito respiratore.
Una volta pronti per il volo ci si fa trainare verso i rotori.
Questa fase del volo è piuttosto impegnativa ed è la chiave di volta di tutta la prestazione successiva. La turbolenza può essere fortissima e il traino un vero rodeo. Si cerca di sganciare il più vicino al rotore che fugge via ad una velocità impressionate. Per salire bisogna stare sul lato sopravvento. In pratica si cerca di inseguire un rullo compressore che rotola via ad alta velocità cercando di farsi spingere più in alto possibile, ma occhio a non finire nella parte discendente, altrimenti la perdita di quota è pari alla salita: rapidissima.
Per stare nella parte sopravvento bisogna lottare non poco e salire il più possibile al “piano di sopra” dove esiste lo scorrimento laminare dell’onda e il successo è garantito. L’incontro con il laminare è sempre una sensazione bellissima. Da una fase di volo turbolento, con comandi mossi di continuo e spesso a fondo corsa per controllare l’aliante si passa quasi di colpo ad una fase di estrema tranquillità. L’aria si muove molto velocemente ma senza la minima asperità. Si può abbassare la velocità indicata sullo strumento anche fino ad 80 km/h e tenere l’aliante con due dita sulla barra: vola benissimo senza la minima correzione, tanta è la tranquillità del fluido in cui è immerso.
Il variometro comincerà a segnalare una salita spesso non eccelsa (raramente sopra i due metri al secondo) ma assolutamente costante.
Si dispone l’aliante “muso al vento” e ci si rilassa. L’euforia per aver raggiunto il laminare e la tranquillità estrema del volo non devono però far calare l’attenzione. Bisogna sempre mantenere sott’occhio l’impianto a ossigeno e il consumo. Sopra i 4000 metri l’ipossia (cioè la carenza di ossigeno) è un assassino silenzioso e subdolo. Occorre anche buttare un occhio alla posizione. Volando controvento a velocità indicata ridotta può succedere di andare indietro senza accorgersene. In aria tutto è relativo: se lo strumento indica 80 Km/h ma in realtà il vento che ci viene incontro si sposta a 100 km/h alla fine si vola indietro di 20 km/h. Basta guardare il suolo e si può vedere le cose a terra che sono immobili o addirittura scorrono in avanti!
Cliccando qui potete visionare un bel filmato realizzato da un pilota italiano in volo sulle Alpi (filmato eseguito dai ragazzi di postfrontal.com in cui si può osservare una fantastica salita a cinque metri di media cavalcando l’onda.
Come potete vedere dalle immagini, la turbolenza è assente in quanto l’aliante è immerso in un flusso d’aria perfettamente liscio che sale costantemente con un rateo piuttosto elevato, tanto da sollevare l’aliante a “fondo scala”, cioè con lo strumento (il variometro) costantemente sul fondo scala di lettura.
E’ possibile vedere il variometro sul cruscotto (strumento in alto a sinistra) inchiodato su + 5 metri/sec di salita accompagnato da un piacevole e musicale trillo del variometro acustico. Con questa velocità di salita si arriva a quote molto elevate in tempi molto brevi. Questo genere di voli necessita di una preparazione aggiuntiva rispetto ad altre performance che si svolgono a quote più basse.
Essenzialmente occorre fare i conti con due fattori: la mancanza di ossigeno oltre una certa quota e il freddo estremo che si incontra a migliaia di metri sopra il livello del mare.
Considerando che spesso questo genere di voli si svolge in inverno non è raro incontrare temperature di -20 gradi a 4000 metri. L’aliante non ha un propulsore da cui spillare aria calda per riscaldarsi e quindi è privo di un impianto di riscaldamento: ci si deve vestire come astronauti e coprire soprattutto le estremità del corpo che dissipano il calore corporeo (i piedi, ma anche le mani).